Accolgo con favore la notizia della decisione dell’università Statale di Milano di applicare il numero chiuso anche alle facoltà umanistiche a partire dall’anno scolastico 2017/18. La decisione è stata votata a maggioranza, nonostante le proteste studentesche e oltre cento professori contrari. Le contestazioni riguardano il fatto che l’Università, in quanto servizio pubblico, dovrebbe potenzialmente consentire l’istruzione superiore a tutti. Pare che ciò non sia più possibile, causa la mancanza di fondi e di organico insufficiente. Sostengono pure che i fondi sarebbero stati indirizzati verso facoltà scientifiche come medicina e altre. I professori volevano si aprisse un dibattito, ma la decisione è stata presa, mettendola ai voti. Quindi sembra di capire che il numero chiuso sia stato deciso, non tanto perché sia giusto in sé, riservato a chi ha mostrato capacità per accedere a quella determinata facoltà, attraverso test d’ingresso, ma per la sopraggiunta scarsità di fondi. Beh, allora in questo caso, le ristrettezze economiche sono un fattore positivo ,a mio parere, per la correzione di un andazzo italiano sbagliato. Sarebbe auspicabile da tempo verificare con serietà le reali esigenze del mercato del lavoro e comunicarle a studenti e famiglie, adeguando le facoltà universitarie a tali bisogni. Per cui abbiamo più bisogno di insegnanti di lettere o di medici, di ingegneri ,piuttosto che di psicologi? Conseguentemente si allarghino o restringano i numeri degli accessi, a seconda dei bisogni del mercato, appunto. Ciò permetterebbe di non creare false aspettative ai giovani, una volta conseguita l’agognata laurea, con conseguenti cocenti delusioni per la difficoltà altissima di trovare un lavoro per cui hanno studiato. Inoltre i test attitudinali dovrebbero servire per non accogliere indiscriminatamente tutti coloro che poi all’università faticano a conseguire risultati, o li conseguono in tempi biblici. L’Università non è scuola dell’obbligo, e non tutti i giovani hanno voglia o capacità per frequentarla, quindi meglio vengano subito disillusi, consentendogli di esperire altre strade professionali , tecniche o di lavori artigianali che magari il mercato assorbe. O forse questo accesso “democratico” serve a mantenere cattedre e atenei che andrebbero chiusi, “truffando” gli studenti con false illusioni occupazionali, ma gratificando docenti e apparati con stipendi veri per lavori inutili? Vogliamo ad ogni costo diventare un popolo di dottori? No, grazie, se accanto al titolo abbiamo poi portato a casa solo un pugno di mosche.
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