Eccoci di nuovo davanti al “grande romanzo americano”! Alla maniera, per i intenderci, dello stupefacente ” Il falò delle vanità” di Tom Wolfe.
L’ambientazione è quella della New York degli anni ’70. Una città che ci appare livida, spettrale dove vive una corrosiva realtà umana che fece scrivere al cantante di quella stagione -Bill Joe- la famosa canzone “Miami 2017” in cui si preconizzava la sua distruzione da lì a quarantanni.
L’intreccio del romanzo è così complesso che la sua lettura merita un’attenzione particolare, come nel grande romanzo russo, poiché vi compare una quantità gigantesca di personaggi; tutti legati tra loro da eventi imprevedibili.
Emergono tuttavia alcune figure che fanno da filo conduttore della storia: Regan e William (fratello e sorella) e i loro rispettivi partner (Keith marito di lei e Mercer compagno di William)appartenenti all’alta società newyorchese da cui cercano disperatamente di evadere; disperati anarcoidi in vena di attentati con molotov; Samantha e Charlie, due ragazzini di quella periferia dove sta nascendo il punk; anche loro desiderosi d’ evadere da uno squallore insopportabile, anche attraverso la droga.
E intorno ad essi, la società avida e senza scrupoli dei colletti bianchi: genitori meglio se assenti; poliziotti corrotti, detective che non mollano la presa, affaristi, amanti, artisti, intellettuali, politicanti.
Un vero verminaio, che sembra davvero intento ad autodistruggersi.
Sullo sfondo. per gran parte delle pagine, la New York a cavallo tra il 1976 e il 1977.
Nella notte di Capodanno rimbombano in Central Park due spari che fanno da epicentro alle vicende di cui questo omicidio è insieme prologo ed epilogo.
L’influenza devastante della droga, con il loro penetrante insinuarsi nelle viscere più sordide delle coscienze, capaci di allontanarle da ogni principio di realtà. Effetti che non appaiono più come gioiosa ribellione libertaria, bensì come intreccio tra destini segnati dalla definitiva emarginazione dal mondo “dorato” degli ” Happyes few”e mondo amorale di oscuri affari.
E nel luglio 1977 avviene il famoso blackout che copre la Grande Mela con un buio totale che dura così a lungo da riuscire a sconvolgere gli abitanti al punto da rendere inutili le infinite reti di regole e tabù su cui si sostiene la vita , altrimenti impensabile di una grande metropoli.
Di quella terribile notte, Hallberg ci fa rivivere la grande paura e la confusa percezione della relativa insignificanza delle cose che ognuno ha considerato vitali nella propria vita e per le quali ha giocato la propria esistenza sino a quel momento.
Pagine superbe!
La cosa straordinaria è che questo immenso affresco di una città così complessa e inafferrabile come sa essere New York – una città dove, qualcuno ha detto possono vivere solo coloro che non riescono a vivere altrove, è che Hallberg è un giovane trentasettenne al suo esordio letterario, nato in Louisiana, vissuto in Nord Carolina, e trasferito a New York, dove abita a Brooklin con moglie e figli. Cioè uno che agli eventi di quel decennio non vi ha assistito
Dunque solo attraverso una ricostruzione di quelle atmosfere così significative per la storia successiva della città -frutto di un lavoro di reperimento dei materiali necessari a rappresentarla davvero gigantesco- egli è stato capace di farceli rivivere con l’esperienza di un entomologo
La scrittura usa tecniche di feed back alla maniera del cinema, costringendo il lettore a un’opera di memorizzazione e di messa a punto delle situazioni e dei personaggi che a volte lo fanno scoraggiare dal proseguire nell’impresa.
Qualcuno ha parlato di “troppo di troppo” per questo grande romanzo. Ma a questo si può trovare una involontaria risposta dell’autore che, a Mercer, il nero amante di William, insegnante e scrittore, mette in bocca queste parole “…Nella sua mente il libro continuava a crescere in lunghezza e complessità, quasi come se si fosse assunto il peso di soppiantare la vita reale, invece di evocarla…”.
Giustamente della recensione del Washington Post -riportata sulla copertina del libro- si dà questa ottima sintesi di “Città in fiamme”: “Un romanzo che compie un miracolo: ricreare l’impossibile complessità della metropoli e nel contempo suggerire che siamo tutti più strettamente connessi di quanto crediamo”.
Si racconta nel lungo percorso che porta alla fine del romanzo che al grande blackout di New York qualcuno riesce a sopravvivere.
Come accade sempre nella vita.
Carth Risk Halleberg è nato in Luisiana, ha scritto, tra l’altro, per il New York Time. Questo è il suo romanzo di esordio
“CITTA’ IN FIAMME” di G. R. Hallberg
Ed. Mondadori, pag. 1003. euro 25
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