Esilarante. E’ quanto si può dire di questa storia strampalata sullo sfondo di una Roma ancora una volta rivisitata sotto l’occhio di uno scrittore come Niccolò Ammaniti, impietoso e perfino perfido nel raccontarcela.
“Che la festa cominci” ha come protagonisti da un lato una piccola banda di quattro esaltati giovani che appartengono ad una setta satanica “Le belve” di improbabile ferocia. Dall’altra un affermato giovane scrittore che oscilla tra le lusinghe della fama recente, e il suo spropositato bisogno di affermare il suo fascino sopratutto con l’universo femminile.
E, infine, un affermato palazzinaro romano, la quintessenza della ricchezza accumulata con la speculazione edilizia e la debordante volgarità di cui è impregnata quella realtà corrotta e corruttrice.
L’occasione per far incontrare questi personaggi tra loro è la grande festa che questo imprenditore -Sasà Chiatti- organizza per celebrare la sua gloria e il suo potere. Festa a cui dovrà partecipare chiunque abbia notorietà, a qualunque prezzo e in qualunque ramo acquisita.
Una festa faraonica in una Villa Ada, completamente sconvolta dai lavori per gli scenari che il proprietario ha deciso di installarvi per rendere ,a par suo, magica e irripetibile la festa che dovrà rimanere nella memoria storica della città eterna.
Ammaniti riesce, con questo stratagemma, a darci un quadro davvero terrificante della città, intrecciando con penna leggera ma graffiante, il mondo intellettuale dello scrittore, con le paranoie di giovani alla ricerca di identità, e, infine, con il percorso di connivenze malsane legato all’accumulo sfrontato di ricchezza dei padroni del mattone.
Risate assicurate dagli inizi del racconto.
Poi però, tutto si capovolge a causa di una serie di eventi che si succedono durante la grande festa e il divertimento assume sempre di più il tono di una farsa che si tramuta via via in drammatici eventi.
E il sorriso che ci accompagna durante tutto il racconto si piega verso l’amaro ed emerge l’effimera realtà di una città in cui tutto può succedere e quindi tutto succede, come una barca alla deriva.
La vena comica che Ammaniti possiede si esercita qui al meglio, grazie alla grande inventività di cui il romanzo è costellato. Memorabili i dialoghi extraterrestri dei giovani della banda; ironici e riconoscibili gli atteggiamenti narcisistici e vanesi dello scrittore; irresistibili gli sforzi del cummenda per mostrare tutta il suo immenso bisogno di mostrare al mondo i poteri del suo denaro e le sue capacità d’attrazione anche su gente insospettabile.
“Il giorno in cui era stato chiamato a organizzare il catering della festa, l’imprevedibile chef bulgaro Zoltan Patroviç aveva adocchiato nello studio di Chiatti un dipinto ad olio di Giorgio Morandi.
Quell’opera del pittore bolognese avrebbe dato prestigio alla sala Emilia Romagna del suo ristorante -Le Regioni-…
Ecco: la cifra del romanzo è ricchissima di queste notazioni; esse ci accompagnano, senza che l’autore dia mai la sensazione di giudicare i fatti narrati.
E tuttavia egli insinua più che un sospetto che l’incapacità dei personaggi stessi a intravedere la concreta inconsistenza della realtà in cui essi navigano, si rifletta su di noi lettori come un avviso ai naviganti che qualcosa in questo nostro vissuto stia andando in malora.
Niccolò Ammaniti è romano. Quasi cinquantenne. Dal suo romanzo “Io non ho paura” è stato tratto il bel film dal titolo omonimo. Anche altri suoi romanzi sono stati l’occasione per trasposizioni cinematografiche.
“CHE LA FESTA COMINCI” di Niccolò Ammaniti
“Ediz. Einaudi, pag. 356,euro 14)
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