Da quando è iniziata la pandemia si lavora da casa e nel mondo aziendale è esploso il tema del “benessere mentale”.
Ricordo il 2016, solo cinque anni fa, quando introducevo in azienda programmi di employee engagement, che coinvolgevano corpo e mente con sessioni che alla leadership alternavano lo yoga e la mindfulness, e spesso prima di sortire interesse, tali approcci incontravano una forte resistenza, vista la natura poco ortodossa di un programma di formazione che metteva i leader in tuta su un tappetino invece che in giacca e cravatta attorno a un tavolo.
Oggi il tutto si è ribaltato. Ormai sembra che lo yoga e la meditazione si facciano più in azienda che al centro benessere, i materassini sono diventati un simbolo delle start up tech almeno quanto il ping pong e i cuscini colorati, e anche aziende tradizionali ora si rimbalzano buzzword come mental well-being e zoom fatigue.
Sembra che il lavorare da casa e sfiancarsi di chiamate zoom, invece che di ben più macchinosi incontri in presenza magari con trasporto annesso, abbia causato un crollo mentale delle persone. Passi magari la sensazione di maggiore isolamento, però spesso ampiamente compensata dal passare più tempo con i propri cari, ma sinceramente mi sembra improbabile che lavorare da casa con un po’ troppe videochiamate possa scalfire una mente umana che nei secoli è stata in grado di sopportare traumi quali guerre, o sopravvivere nudi mangiando banane e scappando dalle tigri.
Piuttosto propongo un’altra ipotesi. Ricordo quando tornando dall’esperienza di due anni negli Stati Uniti, mi veniva chiesto un parere sul popolo americano: “ormai vivono in una società che, nel processo di creare molti prodotti e servizi anche davvero utili sul piano del vivere materiale, gli ha però inflitto un danno interiore tale che per recuperarli psicologicamente, ci vorrebbero quindici anni di psicanalisi. E molti non li recupereresti nemmeno così.
Mi pare che questo grido disperato, questo bisogno di cura, questa psicanalisi mascherata, ormai stia prendendo piede in tutto l’occidente, di cui gli Stati Uniti sono la rappresentazione più estrema e l’Europa quella più moderata. Mentre il resto del mondo meno sviluppato soffre di problemi di natura materiale, e ben minori di natura psicologica.
L’industria dello sviluppo personale è esplosa, dominata purtroppo più da guru di etica dubbia. Spiritualità, yoga, coaching, programmi contro il burnout, well-being, ritiri, gruppi di aiuto, ormai popolano la sfera aziendale e privata in maniera sempre maggiore e rispondono per me più a una richiesta di aiuto psicologico di popoli sofferenti che non allo scopo originario per cui sarebbero concepiti.
In questo senso credo che il lavorare da casa non abbia causato crisi psicologiche, ma abbia portato a galla quella psiche già precedentemente intossicata da un modo di vivere disfunzionale. Semplicemente rimuovendo le distrazioni, come per esempio andare a ubriacarsi nel frastuono delle discoteche o nei pub, perdere molto tempo nel gioco della macchina sociale di aperitivi ed eventi, sfogarsi in uno stadio tra gli ultras in modo spesso violento, o infilarsi al ritiro del guru di turno che spesso promette un futuro radioso che mai arriverà, riempiendosi le tasche, ma per una volta ci si è semplicemente dovuti guardare dentro.
Nei ritiri di meditazione silenziosa ho imparato che non si viene mai travolti da emozioni che stanno in qualche modo all’esterno. Ma in quel silenzio, in quella assenza di stimoli e distrazioni, semplicemente viene a galla ciò che abbiamo già dentro.
In questo senso occorre sì costruire quella famosa “resilienza” mentale che oggi va tanto di moda come parola. Ma non nel modo in cui si pensa. Non si può farlo da un lato parlando di resilienza, facendo pseudo-programmi, e poi dall’altro continuando a giustificare una cultura sociale dove sotto l’ombrello di inclusione, chiunque può offendersi di tutto, sentirsi discriminato e vittima di tutto, e reclamare diritti su tutto.
La resilienza mentale i nostri nonni l’hanno costruita soprattutto nelle campagne, sotto le bombe, nei lavori tosti, dove per diritto non vi era nulla. Solo tanto dovere. Dove la legge di sopravvivenza veniva dettata dalla natura: se non semini non raccogli e non mangi. Del resto siamo mammiferi. Gli animali vivono la legge di natura, e raramente soffrono di problemi mentali. Quando lo fanno spesso è proprio perchè messi in ambienti artificiali, come gli zoo, anche se paradossalmente più protetti.
Non possiamo pensare di vivere da un lato questa disconnessione con la natura, dove ormai il pensiero unico politically correct convince le persone che abbiano il diritto di vivere in un mondo immaginario a uso e consumo di chiunque altrimenti si sente offeso, e poi di avere resistenza psicologica di fronte ai tempi duri, quando ci confrontiamo con la dura realtà e leggi di natura. Non possiamo pensare di passare ore al giorno su social media tossici e studiati in modo scientifico per manipolare la nostra chimica cerebrale, e poi saperci confrontare con le durezze del mondo fisico quando queste si presentano, come nel caso della pandemia.
Una famosa citazione dice: tempi difficili creano uomini forti. Uomini forti creano momenti buoni. I tempi buoni generano gli uomini deboli. E gli uomini deboli creano tempi difficili.
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