Al diavolo le mode e il loro linguaggio

Dunque, fatemi capire.Una si spoglia nuda con due stelline di plastica sui capezzoli ed è “burlesque”.Si fa un talk show in cui si parla di culi, ma il tema è “il lato B”.Una mostra di totali disvalori in televisione è semplicemente “genere trash”.Uno cazzeggia in discoteca con una maglia attillata, ma tecnicamente fa un mestiere: “il ragazzo immagine”.Una fa la prostituta a prezzi maggiorati, e diventa “escort”.Una donna fa mostra di omosessualità , ma è “lesbo chic”.Un uomo perde la virilità, diventa vittima delle mode che il marketing ha costruito per l’altro sesso ed è un “metrosexual”.Uno che spara cazzate in un locale e canticchia due motivetti è un “vocalist”.Se vogliamo essere uomini liberi dobbiamo riappropriarci prima di tutto del linguaggio. Smettiamola di farci prendere per i fondelli. Prima di scrivere queste righe ho visitato qualche sito (sono in prevalenza indirizzati al pubblico femminile) di moda e tendenze e si trovano cose allucinanti, che suppongo essere le stesse delle riviste. L’industria della moda, su tutte, conia decine di queste mistificazioni linguistiche. E’ sorretta da un manipolo di persone strambe (spesso solo per vezzo), che lavano il cervello di mezzo mondo fra “glamour”, “cool hunter”, “fashion must-have della stagione”, perversioni, superficialità e capi assurdi, anoressiche che sfilano mezze nude, cricche, sfruttamento del lavoro nel terzo mondo, pubblicità pericolose (vedere il contestato manifesto di D&G evocativo di stupro) e tutto quello che gira intorno a questo mondo. Se vogliamo liberarci delle assurdità di cui l’occidente è prigioniero, dobbiamo fare una cosa su tutte: non accettiamo il loro codice linguistico. Rifiutiamolo, chiediamo chiarimenti a chi lo usa, deridiamolo, distruggiamolo su Facebook, per strada, negli uffici. Semplicemente, se non è questo il mondo che vogliamo, non adottiamone la lingua.

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